Un sogno sul mare

Published on

Scopriamo Vieste partendo dai trabucchi dei pescatori, un centro storico del Gargano in provincia di Foggia. Qui si incontrano storia, natura e leggende legate all’amore. 

 

«Non tutte le suocere vengono per nuocere. Io devo benedire la mia che mi ha regalato una grande ricchezza: un trabucco». Scherza Enzo Spalatro, insegnante di professione ma trabuccolante per passione, mentre sistema la rete che gli sta arrotolata davanti ai piedi. I suoi occhi azzurri seguono forme e linee del mare.

«Ho sempre amato la pesca con la canna e la barca, ma mai ero salito su un trabucco, fino al giorno in cui mia suocera, donna testarda, mi portò un contratto d’acquisto di quello che io amo definire un gigante. Così senza sapere come si usava, mi sono ritrovato proprietario di un trabucco a Vieste. Da allora è divenuto la mia più grande passione».

Il Maestro, come qui lo chiamano tutti, racconta che queste ingegnose macchine da pesca (permettono ai pescatori di proiettarsi in mare, fino a 45 metri di distanza da terra, attraverso le lunghe antenne usate per calare il trabocchetto, la rete che serve per intrappolare il pesce, da cui il nome) sono sempre state immobili sugli scogli, già molto tempo prima che sulla costa pugliese sorgessero città e abbazie. Il trabucco, che si staglia sulla roccia e si specchia sul fondale, affascina per il suo aspetto e per quell'intreccio di travi e funi, così fragile e leggero allo sguardo, quanto flessibile e resistente alle mareggiate.

Frutto dell'ingegnosità degli artigiani di un tempo, rappresenta la più antica tradizione marinara del Gargano e oggi, continuando nella loro funzione, sono divenuti patrimonio culturale della Regione Puglia. Ce ne sono circa trenta, concentrati nel tratto di costa da Vieste and Peschici.

Tra quelli in funzione vi è il trabucco di Punta S. Croce, gestito dal Maestro, dal quale assistere alla pesca (su prenotazione) o semplicemente ammirare la struttura e il faro di fronte. «Il mio vero rifugio, però», sottolinea il Maestro, «rimane il trabucco avuto in dote, vicino alla baia di S. Lorenzo, più isolato e nascosto. Salirci è come ritrovare il punto di incontro tra acqua, cielo e terra. Ci vado al mattino presto, quando non c’è nessuno. Sembra di stare su un enorme ragno che ti abbraccia con la sua tela. Il mio mondo è quassù e se qualche volta mi sento solo, parlo con i miei migliori amici: Genoveffa e Vercingetorige, due gabbiani che si fermano sulle articolazioni di quest’opera ingegnosa».

Un leggero vento s’insinua tra i pali conficcati nella roccia, accarezza la rete dove ancora si muovono tanti piccoli pesci (il mare qui è tra i più pescosi dell'Adriatico) e vi deposita un po’ di sabbia. Sabbia sottile di un bianco acceso, come bianco è il colore di Vieste. Le case, le scalinate a picco sulla scogliera, le viuzze, sembrano spolverate di borotalco per come sono candide. Si gira con lo sguardo attratti dai fregi di una finestra o dalle decorazioni di un palazzo che suggeriscono i fasti del passato.

Vieste è il cuore dello sperone roccioso d’Italia, da scoprire soprattutto in autunno, quando offre il meglio di sé. Non si può prescindere dal mare: si passa dall’abbraccio delle baie (Baia di Campi e la sua bella insenatura), alle grotte, cavità marine che traforano come un merletto la costa (quella delle Rondini), al cui interno i volatili dimorano per l'intero anno e intrecciano splendidi voli o la Grotta Campana, così chiamata perché l'erosione le ha dato la forma a campana.

Il mare è la cornice di un quadro altrettanto ricco di sfumature che è il historical center, posizionato sulla rocciosa penisola di S.Francesco. «Il nostro paese – continua il trabuccolante – è un insieme di tradizioni, storia, profumi e sapori che ritornano alla memoria mentre si passa per i vicoli».

Parlando del territorio, non nasconde la sua indole da insegnante. Il Maestro snocciola entusiasta i pregi della sua città tranquilla che «va visitata almeno una volta nella vita». L’itinerario consigliato? Iniziare dalla parte più alta dove si trova il Castello normanno-svevo (oggi adibito a stazione radar della Marina), poi una visita alla Cattedrale romanica, fino alla Chianca Amara, roccia che ricorda l’eccidio dei viestani da parte dei pirati turchi nel 1554.

La storia diventa leggenda di fronte al faraglione di Pizzomunno, un dente calcareo che si erge per 26 metri a guardia del litorale sabbioso, segno d'ingresso a Vieste, di cui ne è divenuto il simbolo. Narra la storia d’amore tra una fanciulla, Cristalda, e un giovane pescatore, Pizzomunno.

Le sirene, gelose per tanto sentimento, tramutarono lui in un mastodontico promontorio e legarono lei con una catena alle caviglie, trascinandola in fondo al mare. Ogni cento anni, le sirene consentono all’infelice Cristalda di emergere dalle profondità marine, per ritrovare il suo amato e rivivere, per un solo giorno, la loro felicità.

Fonte: La Repubblica 26/9/2008

EN