I campi dell'alta Murgia

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Alla scoperta di Altamura, la città in provincia di Bari famosa per il pane e i suoi numerosi reperti preistorici
 
 

Ci pensa il garrito delle rondini, quel dolce cinguettio che si diffonde ancor prima dell’alba tra i claustri bianchi di Altamura, dove volano a migliaia, a svegliare ogni giorno Giuseppe Carlucci. Il panettiere del Forno Santa Caterina, insieme al Santa Chiara, uno dei più antichi della cittadina dell’Alta Murgia aperto dal lontano 1724, attraversa Corso Federico II di Svevia lastricato di pietra che riluce della bruma del mattino. Si fa il segno della croce davanti alla Cattedrale dell’Assunta che nelle intenzioni dello Stupor Mundi doveva essere la cappella palatina della città che aveva ricostruito dopo la distruzione operata dai Saraceni – lo stemma di Altamura recita «Federicus me reparavit» – e rivolge uno sguardo all’irresistibile rosone a 15 raggi e al bassorilievo raffigurante l’Agnus Dei. Poi si lascia intrappolare dalla fitta ragnatela di vicoli di questa cittadella murata che, grazie all’intuizione federiciana di farne un paradiso off shore esentasse già nel XIII secolo, calamitò mercanti tessili, commercianti ebrei, greci.
A quest’ora Altamura profuma di lievito e di legno di quercia proveniente dalle foreste potentine che Giuseppe e gli altri fornai bruciano nei forni tenuti accesi dall’una della notte precedente. Poi inforcano la lunga asta di legno, e dispongono sulla pala alla sua estremità l’impasto «miracoloso» composto da farina di diverse qualità di grani duri macinati insieme, dall’appulo all’arcangelo, dal duilio al simeto, uniti all’acqua, il lievito di pasta acida e sale marino, plasmato a mani nude, e messo a lievitare per due ore. Sarà poi il fuoco a forgiarlo fino a formare quella scultura di colore giallo, la crosta croccante, la mollica soffice e porosa, chiamata «U sckuanète», il pane accavallato. La sua bontà e fragranza sono testimoniate dal riconoscimento Dop, oltre che dal suo utilizzo in altre ricette tipiche di questo territorio quali la Fetta Francesca con la mortadella e il formaggio grattugiato, la Cialda con pomodorini invernali, una mezza patata, le olive nere e le cime di rapa o semplicemente mangiandolo insieme alla squisita mozzarella intrecciata di Noci.
Fecondi sono infatti i campi ondulati dell’Alta Murgia, custodi di sapori antichi ma anche di vestigia quasi sconosciute,come le orme di dinosauro scoperte casualmente nel 1999 dai geologi Massimo Sarti e Michele Claps su una superficie di 12 mila metri quadrati all’interno di una cava in località Pontrelli, accanto alla chiesa di S. Sabino in Fornello, a ridosso della ex strada statale 171 Altamura-Santeramo in Colle. Provenienti dall’Africa, più piccoli di dimensione rispetto ai loro simili vissuti milioni di anni prima, appartenenti a otto specie, forse Anchilosauri o Adrosauri dal collo allungato, le zampe circolari, sicuramente vegetariani, hanno lasciato le impronte degli arti inferiori ma anche superiori sul fango: la più grande ha un diametro di 37 centimetri. Si riconoscono anche piste che si incrociano, persino piedi di cuccioli. Purtroppo, però, quello che sarebbe il parco giurassico con il maggior numero di orme al mondo versa in stato di abbandono tra erbacce e macchinari di escavazione arruginiti, in balia delle intemperie e soprattutto della burocrazia.
Dopo 15 anni, infatti, non è ancora stato risolto il contenzioso tra la proprietà della cava e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia in merito alla stima della somma da versare a titolo di esproprio. E’ invece coccolato e vezzeggiato, come probabilmente mai gli capitò nella sua esistenza terrena avvenuta circa 70 mila anni fa, l’Uomo di Altamura, lo scheletro maschile più integro e completo mai ritrovato, cartilagini comprese, scoperto nella Grotta di Lamalunga a 18 metri di profondità. Rivestito di concrezioni coralline, questo esemplare unico di Homo Neanderthalensis, alto un metro e mezzo, si lascia ammirare in due modi: calandosi coraggiosamente nell’inghiottitoio della grotta e poi nel labirinto di cunicoli, procedendo tra stalagmiti e stalattiti, oppure attraverso una telecamera che permette di distinguerne l’omero, il naso, persino i tessuti spugnosi delle ossa. Forse era un pastore che pascolava il gregge, come accade ancora oggi, laddove adesso si trova il Pulo di Altamura, la più estesa dolina carsica d’Europa, ovvero un cratere di 600 metri di diametro, profondo oltre 90 metri, dalle pareti scoscese come un canyon, intorno al quale si può fare trekking, oppure scendere sino al cuore di questa voragine o ancora curiosare dentro le tante cellette, cunicoli e grotte scavate nella roccia e abitate nel Paleolitico, ove ora nidificano i corvi reali.
Oltre alla meraviglia delle doline e dei campi ondulati di grano che si scopre in superficie, l’Alta Murgia ha anche un’anima più infernale altrettanto fascinosa e misteriosa. Nelle sue viscere, infatti, specialmente a Castellana Grotte, le caverne celano, illuminati dalla luce che si insinua imperiosa dagli anfratti della roccia tesori della natura quali stalattiti e stalagmiti. Alcune di queste parure di roccia bianche e nocciola sfoggiano certe forme a bombetta che ricordano proprio il pane di Altamura.

Fonte: La Stampa 9/11/2012

 

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